eBook * OPINIONI * miscellanea – uno

miscellanea

Antonio Conese

Opinioni

miscellanea – uno

Copyright © Aprile 2016 – Antonio Conese

La Pubblicazione è protetta dai diritti d’autore ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633 e sue modificazioni.

Sono lecite citazioni e utilizzazioni del testo a condizione che risultino conformi ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Citazioni e utilizzazioni, contemplate dalle vigenti disposizioni di legge, dovranno menzionare la fonte e il nome dell’Autore.

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Recensione alla prima edizione

Un instant book lucido, graffiante e stimolante, come deve essere un libro concepito, scritto e pubblicato in sintonia con i tempi e nel quale si delinea un quadro dei problemi attuali della comunità globale. L’autore è non soltanto persona informata sui fatti ma è dentro i fatti, e la sua collocazione è esplicitata dall’inizio alla fine spaziando con le sue opinioni su temi di fondo quali: libertà di stampa, meridione, cultura, terrorismo, ambiente, scuola. Con questa raccolta di “rapide riflessioni”, essenziali e non superficiali, l’autore ci invita ad aprire in ogni sede una discussione che responsabilizzi, uscendo dal quadro stereotipato dei dibattiti passerella, esercitando “il diritto di critica” che “non deve essere soggetto a «censura a priori»”. “Noi abbiamo bisogno, insomma, di moltiplicare e diffondere organi di informazione” per esprimere “libere opinioni di parte, libere perché scevre da conflitti di interessi”, e abbiamo bisogno che nella “nostra televisione pubblica … sia amputata la ‘longa manus’ ”. Il sogno del federalismo in Italia è minacciato non soltanto perché “il termine si è caricato di sfumature negative per le connotazioni razziste” che lo hanno accompagnato “nel corso degli ultimi tre decenni”, ma anche perché bisogna coniugare il federalismo con la consapevolezza della colonizzazione del mezzogiorno, a partire dalla unificazione nazionale. La sua domanda non provocatoria è: “e se … un sano federalismo ‘solidale’ fosse effettivamente la risposta ad uno dei nodi problematici della storia dell’Italia … ossia alla questione meridionale?”. Lingua inglese contro lingua italiana? La risposta dell’autore è no: “risulta sin troppo evidente come, per un italiano, sia decisivo innanzitutto pensare e parlare bene in italiano. Ovviamente, con i tempi che corrono, occorre parlare e pensare bene in inglese. Ma non ci può e non ci deve essere alternativa tra le due esigenze”, altrimenti diventa difficile anche praticare la terza ‘i’, l’informatica. Di fronte alle grandi questioni geopolitiche del terrorismo, delle guerre locali e dell’emigrazione di massa emerge con chiarezza “la deludente risposta delle istituzioni comunitarie”. Il problema è complesso e richiede “un complesso apporto multidisciplinare” e “soluzioni interculturali”, “ma soprattutto dobbiamo avere coscienza che l’Occidente ha le sue responsabilità”. Infine, la questione ambientale. “L’umanità ha di fronte a sé una delle più grandi sfide: … frenare il riscaldamento globale”. A Parigi “gli Stati si sono impegnati a cambiare il modo in cui si produce energia”, ma “occorrerebbe una forte sensibilità per questi temi da parte dei leader responsabili delle politiche nazionali e sovranazionali”. È un libro da leggere e da usare.

07 aprile 2016 – Giovanni Prestandrea, Scrittore e Talent Scout

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Sommario

Prefazione 

Libertà di stampa e libera informazione

Libera televisione in libero stato

Federalismo e questione meridionale

Le tre “i”

Ma gli Inglesi ce l’hanno con gli Italiani?

Il bambino montessoriano, “padre dell’uomo”

La “mafia montessoriana”

Terrorismo

Non pensare all’elefante

Il governo dei petrolieri 

Il popolo di Erasmus

Visite guidate e viaggi di istruzione

Il presepe e la benedizione pasquale a scuola 

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Prefazione

In queste pagine sono raccolte rapide riflessioni legate ad argomenti di attualità.

Si è scelto come primo tema quello della libertà della informazione che costituisce, come sappiamo, una questione nevralgica anche per le società democratiche: ne è significativa testimonianza il fatto che, nel nostro Paese, tutti coloro che amano il potere, al di là dei proclami, cercano di impadronirsi dei mezzi di comunicazione e li invadono con la loro presenza.

Si fa riferimento, poi, a problematiche molteplici: il federalismo e la ‘perenne’ questione meridionale, le tre “i”, la “mafia montessoriana”, il terrorismo, la laicità della scuola.

Non poteva mancare un riferimento al Renzi che pensa ostinatamente all’elefante.

Alcune note concernono, poi, le discussioni del giorno: il “governo dei petrolieri” e il referendum sulle trivelle in mare.

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Libertà di stampa e libera informazione

C’è stato davvero il pericolo che libertà di stampa e libertà di informazione fossero compromesse, in Italia, nel corso della fase storica che ci apprestiamo a mettere tra parentesi?

Sappiamo che c’è chi ha lamentato la strumentalità della polemica che ha accompagnato, in merito, il periodo che passerà alla storia come Ventennio della Seconda Repubblica.

La risposta all’interrogativo deve essere serenamente fornito esaminando i dati che l’osservatore ha a disposizione.

I casi degli attacchi a Enzo Biagi, a Michele Santoro e adesso a Giannini, i tentativi – che si rinnovano nel tempo, come vediamo in questi giorni – di mettere il bavaglio alla stampa a proposito della pubblicazione del contenuto delle intercettazioni sono sin troppo noti e ciascun cittadino può facilmente riflettere ed argomentare al riguardo.

Ma si può affermare, per esempio, che la stampa ostile a Berlusconi abbia avuto difficoltà ad esporre le proprie posizioni critiche? Direi proprio di no!

Non mi pare che libertà di stampa e libertà di informazione siano state davvero in pericolo in questi anni: che cosa e chi avrebbe potuto impedire ai partiti di opposizione di stampare pagine e pagine di notizie concernenti i processi in capo a Berlusconi e distribuirle nelle piazze per contrastare l’opera disinformativa e diseducativa di certa stampa e di certe televisioni?

Niente e nessuno!

Né si potrebbe sostenere che la legittima difesa della propria reputazione possa essere scambiata per attacco alla libertà di stampa, anche perché in Italia il giornalista oggetto della legittima difesa può sempre far valere trasparenza e correttezza del proprio operato di fronte alla magistratura.

Prendiamo le vicende che accompagnano spesso il giornalismo d’inchiesta.

Milena Gabanelli e Bernardo Iovene, per esempio, erano stati denunciati per diffamazione in relazione ad un servizio andato in onda su Report il 10 marzo del 2002 sulle sofisticazioni alimentari.

La Quinta Sezione Penale della Cassazione assolse i due giornalisti dalla contestata diffamazione sostenendo che la denuncia in «forma dubitativa» di «situazioni oscure» non è diffamazione, ma deve essere considerata diritto di critica del giornalista d’inchiesta: il diritto di critica non deve essere soggetto a «censura a priori» quando chi indaga ritiene di agire nella convinzione che quel sospetto sia fondato.

Certo, nella fattispecie i Giudizi della Cassazione evidenziarono che, a tutela del diffamato,“la questione circa l’ampiezza del dovere di controllo sulla verità della notizia”, nel denunciare ‘situazioni oscure’, trova un limite nel “caso in cui il sospetto sia obiettivamente del tutto assurdo” e che deve sussistere, inoltre, “anche il requisito dell’interesse pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica”.

Ciononostante, gli stessi Giudici spiegarono che “pretendere la censura a priori del giornalismo esplicato mediante la denuncia di sospetti di illeciti, significherebbe degradare fino ad annullarlo il concetto stesso di sospetto e di giornalismo di inchiesta”.

Stampa libera e informazione libera

Sicché: si può affermare che, nel complesso, non è esistita, in Italia, un problema di libertà di stampa e di libertà di informazione.

C’è sicuramente, al contrario, la questione di avviare la realizzazione delle condizioni di una stampa più libera e di una informazione più libera: anche nell’era renziana.

Il nodo problematico mi pare essere ancora una volta il “conflitto di interesse”: se è legittimo che un organo di informazione abbia una specifica linea editoriale, seppure di parte, è un’evidente aberrazione che esistano linee editoriali a supporto di uno schieramento politico o di un personaggio politico, quando il personaggio che si sostiene, proprietario del giornale, governi e legiferi oppure eserciti in qualche modo un potere (anche “soltanto” il potere di informare chi legge).

Né tutta la stampa di opposizione a Berlusconi è risultata scevra dallo stesso groviglio di interessi: è stato possibile talvolta rilevare che i contenuti e i toni di alcuni articoli di giornali di sinistra non siano ad esprimere semplicemente una linea editoriale partigiana, bensì siano a sostenere un orientamento mirante a supportare “interessi” di parte.

Queste, secondo me, le domande cruciali che sono da porre quando si esamina un organo di informazione:

– CHI SONO I PROPRIETARI DEL GIORNALE?

– IL PROPRIETARIO DEL GIORNALE GOVERNA ‘O’ LEGIFERA, OVVERO GOVERNA ‘E’ LEGIFERA’?

– LA LINEA EDITORIALE È A SOSTEGNO DEL PROPRIETARIO CHE GOVERNA ‘O’ LEGIFERA, OVVERO GOVERNA ‘E’ LEGIFERA?

– LA LINEA EDITORIALE È A SOSTEGNO DI INTERESSI “SPECIFICI”, DI INTERESSI “MATERIALI” DEL PROPRIETARIO?

Se sì, non si tratta sicuramente di stampa libera in grado di esprimere una informazione libera!

Noi abbiamo bisogno, insomma, di moltiplicare e diffondere organi di informazione che, seppure di parte – come sono d’altronde gli “organi di partito” – non siano espressione di conflitti di interesse e che, dunque, risultino liberi e che siano in grado di fare libera informazione, nel momento stesso in cui esprimono libere opinioni di parte, libere perché scevre da conflitti di interesse.

Questo è quello che l’opinione pubblica si aspetta da chi ha il dovere ed il diritto di controllare chi detiene il potere.

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Libera televisione in libero stato

Pazzesco!

Un effetto (storico) perverso di una decisione (storica) già di per sé perversa!

C’era una volta il consociativismo DC-PSI-PCI.

Il consociativismo DC-PSI-PCI generò tanti frutti amari.

E il consociativismo generò un frutto che si rivelò non solo amaro, ma anche velenoso: la triplicazione della RAI in RAI 1 alla DC, RAI 2 al PSI, RAI 3 al PCI.

Questa fu una decisione (storica) perversa.

… … …

Ma quale fu un effetto (storico) perverso di tale decisione (storica) perversa?

In breve!

Se in Italia l’informazione televisiva pubblica non fosse stata e non fosse appannaggio dei partiti, l’operazione di Berlusconi, e adesso di Renzi, volta ad impadronirsidi due o dei tre canali della televisione pubblica e di monopolizzare ancora di più l’informazione non sarebbe stata nemmeno immaginata.

Io so per certo che una delle distorsioni della informazione in Italia è determinata dalla ‘longa manus’ dei partiti sulla televisione pubblica.

E so che la soluzione al problema della nostra televisione pubblica è che sia amputata la ‘longa manus’.

Dunque: libera televisione in libero stato!

Anche e soprattutto in questi giorni in cui assistiamo alle grandi manovre del Rottamatore-Pifferaio che sta tentando di completare l’opera di asservimento dell’informazione pubblica alla sua narrazione dell’Italia che riparte.

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Federalismo e questione meridionale

Non è nuova la consapevolezza che l’identità nazionale e l’identità regionale costituiscono la ricchezza dell’Europa e che le culture dei popoli sono la più grande eredità del continente europeo.

Devo confessare che in questi giorni le ‘prese di posizione’ fortemente critiche del Presidente della Regione Puglia Emiliano sull’operato del Governo induce a illuminare di luce nuova la questione del federalismo.

Parlare di federalismo in Italia ed esprimere una posizione critica al riguardo non è facile, considerato che il termine si è caricato di sfumature negative per le connotazioni razziste con cui una parte politica ha tinteggiato questa tesi nel corso degli ultimi tre decenni. Eppure io mi vado convincendo sempre di più che la questione debba essere affrontata con animo scevro dalle pregiudiziali che l’approccio leghista comporta.

La pluralità e le differenze tra le diverse regioni costituiscono il punto di forza della cultura italiana: dobbiamo ricordare che già Carlo Cattaneo, opponendosi al progetto di unificazione dei Savoia, aveva sostenuto la validità di uno stato confederato sul modello di quello svizzero.

Carlo Cattaneo, patriota e politico italiano del XIX secolo, è considerato uno dei padri del federalismo.

Le vicende storiche e la maniera in cui si è andata configurando la questione meridionale, e più ancora le persistenti difficoltà del Sud, paiono diano ragione a Cattaneo.

D’altra parte: l’arretratezza industriale del Sud è da considerarsi un’eredità dell’Italia preunitaria o piuttosto il risultato di “una unificazione nazionale strumentalizzata in modo scellerato ai danni del Mezzogiorno”?

La storiografia più recente ha dimostrato in maniera incontrovertibile la veridicità della seconda ipotesi.

Scrivono Loglisci e Schiraldi: “Il processo di verità storica che da tempo sta squarciando il muro di oblio, eretto a difesa di una mistificata interpretazione delle vicende unitarie e post unitarie della nostra nazione, ha trovato nuovo e solidissimo impulso per merito di una pubblicazione scientifica edita da un’istituzione dall’indiscussa affidabilità quale la Banca d’Italia. Se fino ad oggi si è potuto confutare, su basi storiografiche peraltro tutte da verificare, quanto asserito da chi, carte alla mano, mira a dimostrare come il presunto processo unitario si sia risolto nei fatti in una feroce e avvilente colonizzazione del Mezzogiorno, oggi scende in campo la Banca d’Italia, con il suo indiscusso prestigio, a sancire, sulla base di incontestabili analisi e dati statistici, la verità di fatti troppo a lungo vergognosamente manipolati(*).

Certo, lo sviluppo del Sud è compromesso, come sappiamo, da problematiche nuove: basti pensare al dilagare della corruzione, al diffondersi della criminalità in Regioni intere del Mezzogiorno.

Continuiamo ad ascoltare la cantilena sui problemi del Sud e la tiritera secondo cui si richiede una nuova classe dirigente che sia all’altezza delle sfide da affrontare. Adesso la stessa filastrocca ce la ripete anche Renzi, che non si interessa tanto dei nostri problemi. E, quando lo fa, pare non lo faccia proprio per gli interessi del Sud stesso: staremo a vedere come si evolverà la brutta faccenda del petrolio della Basilicata.

E se – sia per ragioni di rispetto del profilo di pluralità e dinamicità culturale, nonché per ragioni di opportunità storica contingente – un sano federalismo ‘solidale’ fosse effettivamente la risposta ad uno dei nodi problematici della storia dell’Italia del ‘900 e di oggi, ossia alla questione meridionale?

Chissà!?

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(*) Loglisci, M., Schiraldi, F., Dopo 150 anni di menzogne la Banca d’Italia conferma: l’Unità d’Italia ha creato il sottosviluppo del Mezzogiorno, in “Onda del Sud” del 29.11.2010.

La lettura dell’articolo è davvero illuminante. Chi volesse consultarlo, può farlo collegandosi al ‘link’ appresso indicato:

https://antonioconese.wordpress.com/?s=onda+del+sud.

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Le tre “i”

Passeggiando per le strade del mio Paese – il “Balcone della Puglia” – il pomeriggio del giorno di Pasqua, un mio amico che vive e lavora in Padania mi parlava di una polemica sorta con un dipendente a proposito dell’uso e dell’abuso degli anglicismi da parte di noi Italiani.

Era molto appassionato nel racconto ed io non ho voluto interromperlo.

Ma mentre lo ascoltavo, con attenzione, io ho ripensato a quei geni del Politecnico di Milano che, come già in passato quelli del Politecnico di Torino, assunsero nel 2012 una decisione storica: dall’anno accademico 2014-2015 le lezioni di tutte le lauree magistrali esclusivamente in inglese, come anche gli esami.

Secondo la loro decisione “brillante”, in tal modo si incentiverebbe la formazione di un contesto internazionale.

Pura illusione, la loro!

Sono ben altre le motivazioni che possono favorire l’internazionalizzazione di una Università: in primo luogo, la qualità della ricerca e l’efficacia delle procedure di insegnamento/apprendimento!

Siamo convinti da sempre che uno dei problemi cruciali della scuola italiana sia la cronica “denutrizione scientifica”, come Qualcuno nobilmente denunciava durante gli anni trenta e quaranta del secolo scorso.

Che, poi, lo studio dell’inglese sia necessario, anche semplicemente per comprendere il lessico elementare che utilizziamo nell’uso del computer, oramai ‘lo sanno anche i bambini della scuola dell’infanzia’: e non è una ‘frase fatta’.

Lo studio dell’inglese, con metodologie appropriate, nonché l’utilizzazione della lingua inglese – e, può darsi, della lingua cinese nei prossimi decenni – è fondamentale per un cittadino del villaggio globale.

L’attualità delle tre “i” , si diceva qualche anno fa: informatica, inglese … italiano (!!!).

Non c’è dubbio che un corso di laurea magistrale debba prevedere anche (!) la imprescindibile capacità di apprendere e relazionare in lingua inglese.

Anche!!!

Ma questo difficilmente mi convincerà che, nell’ambito di una saggia progettazione curricolare concernente un corso di discipline scientifiche e tecniche, risulti corretto “cassare” l’uso della lingua nazionale: a me pare che espungere la lingua italiana dal curricolo sia davvero testimonianza di provincialismo culturale. Risulta sin troppo evidente come, per un italiano, sia decisivo innanzitutto pensare e parlare bene in italiano.

Ovviamente, con i tempi che corrono, occorre parlare e pensare bene in inglese. Ma non ci può e non ci deve essere alternativa tra le due esigenze.

… … …

Naturalmente sarebbe auspicabile che anche i laureati del Politecnico di Milano e di Torino non commettano errori di sintassi quando parlano in italiano, nonché errori di sintassi e di ortografia quando scrivono in italiano.

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Ma gli Inglesi ce l’hanno con gli Italiani?

“Ma gli Inglesi ce l’hanno con gli Italiani?” – mi domandava giorni fa un altro mio amico, con riferimento alle valutazioni poco lusinghiere che i giornali d’oltre Manica dedicavano al Personaggio dell’altro ieri – senza fare nomi – intenzionato tutt’oggi a rimanere in campo.

“Ma no!” – replico io. “In fondo, gli Inglesi non hanno fatto altro, nel tempo, che ripetere i pesanti ‘apprezzamenti’ con cui da sempre hanno accompagnato le gesta del Nostro.”

Rammento al mio interlocutore che mi capita spesso di essere a Londra: quando dal mio inglese si capisce che sono italiano – e si capisce subito – osservo che la gente non ride di me, è sempre gentile se chiedo informazioni, è sempre disponibile se chiedo aiuto per qualsivoglia ragione. Spesso mi saluta con un “Ciao!” caloroso.

Tempo fa l’operatore, inglesissimo, incaricato di leggere i dati di luce e gas, capendo per conto suo di avere a che fare con italiani per via del computer acceso su cui io seguivo la trasmissione “Agorà” dal terzo della RAI – il dibattito del giorno precedente, essendo allora a Londra, appunto – prima di andare via mi salutò con un sorprendente: “Ciao, bello!” … Bello, si fa per dire! Assicuro che “sorrideva” cordialmente, e non rideva di me in quanto italiano.

Insomma: gli Inglesi, sempre civili ed educati e sempre rispettosi delle regole, non ridono degli altri se non ci sono ragioni; dunque: non ridono degli Italiani per “partito preso”.

… …

Rileggo stamattina un articolo del 13 dicembre 2012 de “il fatto quotidiano”:

Crisi, per il Financial Times l’uomo dell’anno è Mario Draghi

Il quotidiano londinese incorona il presidente della Banca Centrale Europea indicandolo come “l’italiano determinato a salvare l’euro” e citando le sue parole: “Whatever it takes”, cioè “A qualunque costo”.

E’ Mario Draghi, ex governatore della Banca d’Italia e attuale numero uno della Banca Centrale Europea, l’uomo dell’anno 2012 secondo il prestigioso quotidiano finanziario britannico Financial Times. Il giornale lo “incorona” indicandolo come “l’italiano determinato a salvare l’euro” e citando le sue stesse parole, “whatever it takes”, cioè “a qualunque costo”.

Un riconoscimento per il “ruolo centrale nella gestione della crisi dell’euro”

Il Financial Times individua come punto di svolta nella crisi le parole pronunciate da Draghi alla vigilia delle Olimpiadi di Londra: “La Banca Centrale Europea è pronta a tutto per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Parole che, secondo il giornale londinese, hanno messo i mercati di fronte alla responsabilità di sfidare l’illimitata potenza di fuoco dell’Eurotower.

… … …

E mentre Draghi, pur interprete dei “poteri forti”, continua “a suo modo” nell’opera di salvataggio dell’euro e, anche, dell’Unione Europea, io decido – a sua insaputa – che devo assolutamente riparlare con il mio amico: alla luce di questo articolo appare proprio evidente che gli Inglesi non ce l’hanno con gli Italiani, ce l’hanno con “certi” Italiani!

 

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Il bambino montessoriano, “padre dell’uomo”

Dopo la Seconda Guerra Mondiale sono cresciute, nell’Europa occidentale, generazioni di donne e di uomini che non hanno conosciuto lo spettro della guerra.

Andare a scuola, studiare, partecipare alle manifestazioni pacifiste a sostegno dei popoli oppressi dalle dittature era la “moda” per chi ha frequentato la scuola secondaria e l’università alla fine degli anni sessanta e durante gli anni settanta del secolo scorso.

I giovani si nutrivano del pacifismo non violento che si ispirava a Martin Luter King e a Gandhi.

Quei giovani, adesso sessantenni o settantenni, si trovano ora a prendere atto amaramente che la convivenza pacifica è compromessa da forze aggressive e distruttrici che minacciano i nostri confini e portano la morte nelle nostre case.

Si ha l’impressione o la convinzione che pace e libertà siano sogni oramai infranti, illusioni tramontate: il bambino montessoriano, “padre dell’uomo”, pare essere morto sulle spiagge greche o è in grande affanno a percorrere le strade per raggiungere disperatamente i confini della Macedonia.

Che ne è stato dell’Anno Internazionale dell’Educazione – proclamato nel 1970 dalle Nazioni Unite su proposta dell’Unesco – che si poneva l’obiettivo di fissare l’attenzione sulla pace, intesa non solo come fatto politico caratterizzato da assenza di conflitti, bensì soprattutto “come realizzazione di uno stato di coscienza, di responsabilizzazione, di rispetto di ogni e qualsiasi diritto dell’uomo”?

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La “mafia montessoriana”

Tantissimi Inglesi, con spirito patriottico, apprezzano Margaret Thatcher: la Thatcher dimostrò la potenza militare inglese in una guerra contro l’Argentina in un puntino dall’altra parte della Terra.

E questo si chiama colonialismo, si chiama imperialismo.

Tanti Italiani non sanno nemmeno chi è Maria Montessori.

Le scuole montessoriane sono diffuse in tutto il Pianeta, anche in Gran Bretagna: il mio nipotino inglese ha frequentato una scuola dell’infanzia montessoriana a Londra.

Spero ardentemente che da grande diventi un associato di quella che in un articolo del ‘The Wall Street Journal’ è stata definita, addirittura, la “mafia montessoriana”: pare, infatti, che Larry Page e Sergei Brin (i fondatori di Google), Jeff Bezos (il fondatore di Amazon), Jimmy Wales (il fondatore di Wikipedia), Will Wright (il pioniere dei videogiochi) … abbiano tutti frequentato, durante la loro infanzia, scuole ad indirizzo montessoriano (1).

Un caso?

Questo, comunque, si chiama istruzione, formazione, educazione alla creatività.

Il bambino padre dell’uomo: Maria Montessori ha costituito la pietra miliare del rinnovamento della scuola dell’infanzia.

All’inizio del secolo scorso la Pedagogista italiana era già così nota al punto che a New York veniva definita “the most interesting woman of Europe”.

Fu “ammirata in tutto il mondo e dai massimi esponenti del nostro secolo (Ghandi, Freud, Tagore, Marconi, Piaget, Edison, Herriot, Masaryk, Adenauer, ecc…)…” (2).

‘Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei bambini’, una delle sue opere fondamentali, fu tradotta in 36 lingue e pubblicata in 58 paesi.

Ricordo che qualche anno fa Beppe Severgnini in un articolo in inglese, pubblicato sul Financial Times, denunciava in maniera brillante e lucida, com’è suo solito, la perdita di credibilità dell’Italia negli ultimi decenni: avevamo avuto la grande occasione, con Mani Pulite, di riconquistare tale credibilità, ma sprecammo quella occasione.

Oggi c’è chi pensa che la catarsi dello ‘spirito italico’ si realizzi con l’entrata in Borsa della Ferrari, un marchio che certamente gode di notevole prestigio a livello planetario.

Forse sarebbe altrettanto credibile se ci incaricassimo di valorizzare la figura della Montessori e la “buona scuola” montessoriana – piuttosto che la “buona s.uola” renziana – di fronte ai nostri concittadini: tale valorizzazione avverrebbe in un ambito che non è meno significativo dell’industria automobilistica e della Formula Uno.

Agli occhi dei nostri concittadini, perché all’estero non ce n’è alcun bisogno.

Le scuole montessoriane mostrerebbero, a voler usare le metafore di Severgnini, che l’Italia non è un paese in declino, decadente e languido come un film di Luchino Visconti, bensì è un paese eccitante come un film di Federico Fellini; che, insomma, ci dovrebbe rappresentare non già “Morte a Venezia”, bensì “Roma, città aperta”, una capitale che dopo la Seconda Guerra Mondiale aspirava a rappresentare un paese aperto al futuro.

E si dimostrerebbe la vivacità culturale del “fatto in Italia” in un settore rilevante e decisivo quale quello della scuola, della formazione!

Può meravigliare, infatti, che – come evidenzia la ‘American Montessori Society’ (3) – siano oltre 22.000 le scuole montessoriane sparse in tutto il mondo, e che esse siano diffuse soprattutto all’estero, anche oltreoceano: asili nido, scuole dell’infanzia, scuole primarie e secondarie, anche superiori.

In Italia, dove – dopo una prima fase di adesione ed esaltazione entusiasta – l’opera della Montessori fu contrastata dal fascismo, le scuole di ispirazione montessoriana si riaffermarono dopo la Seconda Guerra Mondiale, senza mai avere la diffusione e l’innegabile successo che hanno avuto oltralpe.

Si può verificare che verso la fine del secolo scorso e l’avvio di quello in corso anche in Italia si è assistito ad un rinnovato interesse per le scuole che si ispirano al Metodo Montessori.

Di seguito si riportano i dati rivenienti da un censimento del 2013 circa la diffusione, in Italia, delle scuole dell’infanzia e primarie, statali e paritarie che a quella data seguivano il Metodo Montessori:

– 104 ‘Case dei bambini’ e scuole primarie, statali e paritarie con oltre 900 docenti.

A queste scuole vanno aggiunti:

– 35 nidi con circa 250 educatrici;

– 22 “Case dei bambini” e scuole primarie private con circa 115 docenti;

– due scuole paritarie secondarie di primo grado e 2 scuole paritarie secondarie di secondo grado con circa 80 docenti. Inoltre si stanno realizzando sperimentazioni in quattro scuole secondarie di primo grado statali.

Circa 10.000 famiglie [in Italia, nota d’a.] entrano in contatto quotidianamente con la realtà Montessori” (4).

Dal momento che il nome della Montessori è associato innanzitutto al metodo, desideriamo riportare subito qui di seguito alcune parole significative, particolarmente illuminanti, dell’Autrice stessa sull’argomento:

Si vorrebbe sapere in poche e chiare parole che cos’è questo Metodo Montessori.

Se si abolisse non solo il nome, ma anche il concetto comune di ‘metodo’ per sostituirvi un’altra indicazione, se parlassimo di ‘un aiuto affinché la personalità umana possa acquistare la sua indipendenza, di un mezzo per liberarla dall’oppressione dei pregiudizi antichi sull’educazione’, allora tutto si farebbe più chiaro” (5).

Probabilmente, le parole surriportate già lasciano intendere perché “although Montessori pedagogy is known as the Montessori Method, it is not a method of education, in other words, it is not a programme for teachers to apply. Maria Montessori was not a teacher …. the Alpha and Omega of her pedagogy lies with the children” (6).

Risulta riduttivo, dunque, associare semplicisticamente il contributo rilevante e significativo della Montessori ad un metodo: l’alfa e l’omega della sua pedagogia è strettamente, saldamente, intimamente legata all’idea, all’ideale del bambino.

Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo“: ecco quello che recita l’epitaffio sulla sua tomba a Noordwijk, in Olanda, dove morì nel 1952.

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Note

(1) (Cfr. http://blogs.wsj.com/ideas-market/2011/04/05/the-montessori-mafia/).

(2) (http://www.operanazionalemontessori.it/ ->Home ->Maria Montessori).

(3) (Cfr. http://amshq.org/Montessori-Education/History-of-Montessori-Education/

Biography-of-Maria-Montessori).

(4) (http://www.operanazionalemontessori.it/ ->Home ->FAQ ).

(5) (Montessori, Maria, Formazione dell’uomo, Garzanti ed., Milano, 1947, pag. 7).

(6) (http://ami-global.org/montessori/maria-montessori).

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Terrorismo

Non so se devo arrendermi ai sentimenti di confusione emotiva e cognitiva che il tema suscita in me!

Devo constatare che risulta piuttosto faticoso anche provare semplicemente ad elencare, innanzitutto, le problematiche in campo, che si sovrappongono prepotentemente nella mente nonostante il tentativo di mettere ordine alle stesse:

1a – il conflitto in Siria, Iraq, Libia e l’ampiezza dell’area di diffusione dell’ISIS;

1b – la deludente risposta delle istituzioni comunitarie;

2a – il fenomeno dei rifugiati;

2b – la deludente risposta delle istituzioni comunitarie;

3a – il fenomeno del terrorismo

3b – la deludente risposta delle istituzioni comunitarie;

4 – le iniziative a breve termine per illustrare ai cittadini, in special modo ai minori, le cause dei fenomeni e i tentativi di affrontare gli stessi;

5a – le iniziative a medio, lungo termine per un dialogo interreligioso;

5b – le iniziative a medio, lungo termine per una educazione interculturale.

Ho l’unica certezza di come il tema, per essere affrontato in maniera adeguata, richieda un complesso apporto multidisciplinare, e necessiti di soluzioni interculturali.

Dovremmo interrogare gli storici per avere un panorama il più possibile esaustivo delle cause delle guerre in Iraq, in Siria, in Libia e dell’estensione del fenomeno dell’ISIS in tante zone dell’Africa cui consegue il fenomeno dei rifugiati.

Così daremmo risposte alle ragioni della diffusione di questa terza guerra mondiale “a pezzi”.

E dovremmo domandare agli storici di spiegarci le cause, attuali e future, dei fenomeni migratori in corso e di quelli che verranno – i migranti economici – in generale.

Dovremmo interrogare i sociologi perché ci illustrino come si determini la radicalizzazione dei soggetti che diventano poi terroristi, del come interi quartieri partecipino alla copertura delle cellule fisiche nella Capitale dell’Europa e solidarizzino con il terrorista arrestato dalle polizia con atteggiamenti che ci rammentano da vicino le scene che noi ricordiamo di aver viste in quartieri della nobile Napoli in occasione dell’arresto di un camorrista; di come le cellule risultino spesso familiari; di come intere famiglie fuggano in Siria, portandosi al seguito anche bambini piccoli; di come le cellule, nell’epoca di internet, siano spesso virtuali e non abbiano bisogno di risultare necessariamente cellule fisiche; di come sia necessario tenere sotto controllo le carceri perché lì si fa proselitismo di piccoli delinquenti che poi diventano foreign fighters; di come masse di popolazione autoctona abbandonino intere zone di una città che diventano ghetti, come è successo a Bruxelles non solo con il quartiere di Molenbeek.

Dovremmo interrogare l’economia politica perché ci illustri come gli Stati, e quali Stati, facciano affari con l’ISIS con il traffico illegale del petrolio, con la fornitura immorale delle armi e quanto massiccio è il flusso di moneta nelle casse dell’ISIS.

Dovremmo interrogare la politica per conoscere quali sono le risposte che intende dare ai fenomeni sopra elencati e alle richieste di sicurezza dei cittadini europei; per conoscere, per esempio, quanto tempo occorrerà per la costituzione della invocata procura europea; per capire come si fa ad impedire la formazione dei ghetti.

Dovremmo interrogare le magistrature – e la Magistratura italiana, in particolare, che in questo può essere maestra – per comprendere perché lo Stato ha il dovere di rispettare le regole democratiche e costituzionali, il perché è necessario che il livello delle garanzie sia rispettato, perché la legge innanzitutto deve rispettare la legge anche di fronte al fenomeno del terrorismo.

Dovremmo interrogare le intelligence per comprendere come si fa investigazione e azione preventiva del fenomeno del terrorismo, perché il terrorista va neutralizzato prima che entri in azione e non già dopo che ha agito.

Dovremmo interrogare gli organi di polizia, gli organi competenti per capire se è necessario sistemare i metal detector all’ingresso degli aeroporti; e come fare per difenderci, sapendo che quando avremo imparato a presenziare e a mettere in sicurezza gli aeroporti e le metropolitane, resteranno pur sempre i musei, i centri commerciali, le chiese… ahimè … le scuole…

Dovremmo interrogare la psicologia dell’età evolutiva, gli psichiatri per avere indicazioni sul come affrontare l’analisi dei fatti con i bambini, con i minori che possono avere svariate reazioni che richiedono risposte differenziate; e con i cittadini adulti che invocano, questi ultimi, immediati blitz per procedere allo sterminio totale dei jihadisti.

Dovremmo affidarci a Papa Francesco perché ci indichi la via del dialogo interreligioso.

E dovremmo interrogare la pedagogia affinché ci insegni come essere informati ‘per’ e formati ‘a’ comprendere l’altro da sé, affinché ci indichi la via per una corretta educazione interculturale. 

… …

Stanno cercando di spingerci al conflitto civile con gli islamici, e con gli islamici che vivono pacificamente con noi: se questo avvenisse si favorirebbe la narrazione dell’ISIS che sta tentando di convincere la gente di essere il baluardo dell’Islam e che sia in atto una guerra di religione.

La potenza mediatica dell’ISIS è formidabile e occorre controllarne il proselitismo su internet.

Occorre evitare che si diffonda l’ideologia jihadista e che essa faccia proselitismo nelle nostre città.

Ma la strada non è quella di vietare di costruire le moschee: tanto equivale a sostenere che sarebbe opportuno e necessario che in tante parti del Pianeta fosse vietato costruire chiese.

Bisogna sostenere chi davvero sta combattendo l’ISIS e sanzionare chi in maniera subdola lo sostiene acquistandone il petrolio e vendendo ad esso armi.

Come avrebbero detto Falcone e Borsellino, occorre seguire la via della moneta per combattere efficacemente l’ISIS e il terrorismo.

Dobbiamo sapere che questa guerra è una guerra che si combatte contro i civili e le città sono diventate il campo di battaglia: inevitabilmente, dire che i terroristi possono essere controllabili significa illudere la gente.

E non dobbiamo mai dimenticare che i terroristi vogliono mantenere l’iniziativa anche psicologica, mostrare che sono prontissimi a colpire e che colpiscono quando e dove vogliono; che l’obiettivo prioritario che sta perseguendo l’ISIS è di diffondere il terrore.

… … …

Ma soprattutto dobbiamo avere coscienza che l’Occidente ha le sue responsabilità e che questa guerra, come è stato giustamente detto, noi l’abbiamo dichiarata senza averla combattuta o talvolta combattendola male: tanto, al fine di evitare gli errori del passato, anche prossimo.

E essendo consapevoli che, in ogni caso, distruzione chiama altra distruzione!

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Non pensare all’elefante

Racconta David Frati che “ai suoi studenti del corso di Scienze cognitive e Linguistica all’Università di Berkeley, George Lakoff spesso propone un esercizio molto semplice ma invariabilmente destinato a mettere in crisi anche il più zelante degli studenti: qualunque cosa succeda, i ragazzi non devono pensare ad un elefante. Naturalmente, appena il professore finisce di pronunciare queste parole, il pensiero di un elefante, di solito evenienza abbastanza rara, diventa una sorta di ossessione onnipresente.

L’elefante è una metafora dell’avversario politico: i progressisti paiono più occupati a demolire, imitare, rintuzzare i conservatori che ad elaborare una strategia propria chiara e riconoscibile.”

… …

Come sappiamo, l’elefante, negli Stati Uniti, è l’icona dei repubblicani.

George Lakoff, nel suo fortunatissimo saggio “Non pensare all’elefante”, aveva sostenuto che in ogni sfida politica vince chi riesce a comunicare i suoi valori fondamentali e imporre il suo linguaggio.

Lakoff vuole ricordarci – in definitiva – che un leader progressista, per risultare convincente, deve:

– avere un forte quadro di valori;

– avere un proprio linguaggio e riuscire ad imporlo nel dibattito politico;

– riuscire a comunicare i propri valori fondamentali;

– rinunciare ad inseguire il “Centro”, semmai inseguire la “Sinistra”;

– riuscire a convincere gli interlocutori (gli elettori).

E senza pensare all’elefante, appunto.

… … …

Questo sostiene Lakoff.

Io mi permetto di aggiungere che un leader, per risultare convincente e vincente non soltanto nelle tornate elettorali, ma soprattutto in relazione ai processi storici “progressivi”, non deve pensare all’elefante o, peggio, pensare di inseguirlo nelle proposte politiche.

Si potrebbe ipotizzare di esaminare la leadership di Matteo Renzi in relazione alla faccenda dell’elefante.

Ma la procedura, lo confessiamo, potrebbe essere molto “di parte”.

Per questo, tra le tante valutazioni, noi preferiamo affidarci ad un organismo come il Censis.

Scrive Fabio Martini nell’abbrivio di un articolo della Stampa del quattro dicembre 2015 (“Il Censis e l’Italia di Renzi – Un Paese che vive alla giornata”):

“Sostiene il Censis nel suo quarantonovesimo Rapporto annuale: l’Italia contemporanea, l’Italia di Matteo Renzi, è un Paese in «letargo esistenziale» in attesa di una ripresa continuamente annunciata sui mass media, una “tensione” che per ora non si è tramutata in un nuovo investimento collettivo. Perché l’Italia dell’era renziana è un Paese nel quale vincono fenomeni come la «pura cronaca», l’approccio di corto respiro, «il virus della disarticolazione dei pensieri» e del corpo sociale. Una disarticolazione, certo di lungo corso, nella quale convivono interessi particolari, egoismo individuale, una solitudine «di cui si scorge traccia anche nell’ossessiva simbiosi dei giovani con il proprio telefono cellulare», una povertà di progettazione del futuro. Un’Italia guidata da un governo impegnato ad innescare, attraverso il consenso alla sua azione, una mobilitazione collettiva per ora assente, anche per “colpa” dell’altro tipo di pulsione prodotta dall’attuale esecutivo: un decisionismo incardinato su una leadership «troppo accentrata», che premia più le fedeltà che le competenze e che si fida troppo del «puro comando».

Ecco i temi specifici che occorrerebbe approfondire, questa volta con una indagine piuttosto “partigiana”:

– la coerenza politica del Personaggio;

– la politica economica;

– le riforme costituzionali;

– la questione morale;

– la “buona s.uola” (sic!).

L’impresa è ardua, ma sarebbe da tentare.

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Il governo dei petrolieri

Il riscaldamento globale

2014: l’anno più caldo secondo i rilievi dell’Organizzazione meteorologica mondiale.

L’umanità ha di fronte a sé una delle più grandi sfide: l’obiettivo è quello di frenare il riscaldamento globale – l’aumento delle temperature a livello planetario – in modo tale che l’aumento medio non superi i due gradi centigradi entro la fine del secolo.

Un attento esame del parere degli esperti porta a rilevare che il fallimento delle politiche in materia avrebbe le conseguenze catastrofiche – peraltro già in atto – che così mi pare di poter riassumere:

    • squilibri nell’effetto serra;

    • devastazione degli ecosistemi, perdita della biodiversità;

    • scioglimento di ghiacciai, polari e non;

    • aumento del livello del mare;

    • scarsità ed inquinamento dell’acqua;

    • peggioramento dei fenomeni atmosferici;

    • disastri planetari;

    • scarsità alimentare;

    • intensificazione dei processi migratori.

È poi appena il caso di sottolineare che alcuni dei fenomeni sopraelencati sarebbero (sono?) senza dubbio causa di conflitti tra stati e popolazioni.

La sensibilità dei leader

Occorre il generale convincimento che la riduzione efficace delle emissioni di CO2 è improcrastinabile e che occorre adottare tutti gli strumenti per perseguire e raggiungere l’obiettivo.

Il vertice sul clima delle Nazioni Unite che si è tenuto a Parigi alla fine dello scorso anno riveste una importanza fondamentale.

Gli Stati si sono impegnati a cambiare il modo in cui si produce energia e ad aumentare l’energia proveniente da fonti rinnovabili, a ridurre in tutti i settori, produttivi e non, le emissioni nocive e a produrre energia più pulita. Ma gli accordi non risultano certamente vincolanti, al contrario di quanto auspicava Matteo Renzi, il quale aveva dichiarato: sul clima occorre “un accordo il più vincolante possibile, altrimenti rischia di essere scritto sulla sabbia”.

Renzi, come sappiamo, è sempre molto #logico, soprattutto nella coerenza tra affermazioni e comportamento, e decisioni politiche.

Gli ambientalisti, gli ecologisti sono ovviamente insoddisfatti delle scadenze e delle mete che i governanti sono riusciti faticosamente a concordare: non risulta difficile comprendere che secondo loro l’obiettivo della decarbonizzazione totale, della limitazione delle emissioni a zero entro la fine del secolo non saranno raggiunti.

Non vi è dubbio che occorrerebbe una forte sensibilità per questi temi da parte dei leader responsabili delle politiche nazionali e sovranazionali.

Le trivelle in mare

Come sappiamo, l’Italia da tempo sta fortemente impegnandosi nella diffusione delle energie rinnovabili.

Ma che succede in questi giorni?

Forse perché si avvicina la scadenza referendaria del 17 aprile, le televisioni di regime nascondono che nel tratto di mare tra Italia e Tunisia c’è stato un guasto ad un oleodotto sottomarino che ha determinato una estesa marea nera sugli scogli di isole tunisine a ridosso di Lampedusa.

E il Capo del Governo sembra mostrare di non cogliere i nessi tra l’impegno che anche il nostro Paese ha assunto rispetto alla riduzione della temperatura e la questione delle trivellazioni in mare.

Mostra di non avere sensibilità per i temi del cambiamento climatico quando dice che il referendum sulle trivellazioni è perdita di tempo; sembra mostrare di non conoscere i nessi tra uso delle fonti energetiche che inquinano e riscaldamento globale; manipola i dati – come ha sostenuto il Presidente della Regione Puglia; sembra non avvertire la necessità di dare segnali alla gente circa la necessità di procedere a passi spediti sulla strada delle energie rinnovabili.

“Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”.

Ecco l’interrogativo del quesito referendario.

Come è facilmente rilevabile, il quesito non domanda se si è favorevoli a sospendere le trivellazioni in atto, bensì vuole indagare se gli Italiani vogliono che le trivellazioni cessino alla scadenza dei contratti.

Io non so se Renzi non abbia studiato bene il dossier, come sostiene Emiliano.

So, però, che invita ad andare al mare piuttosto che andare a votare.

A proposito (numero 1)

A proposito: Bersani dice che andrà a votare, ma voterà a favore della continuazione delle trivellazioni anche dopo la scadenza dei contratti. Ed anche Prodi voterà nella stessa maniera.

Prodi, Bersani, Renzi: escludo categoricamente che abbiano interessi personali di natura “materiale” in merito. Ma rilevo che – come si direbbe dalle mie parti – “i tre si grattano allo stesso tufo”. Ossia: tutti e tre, oggettivamente, sono perfettamente “in linea” con gli interessi dei petrolieri.

A proposito (numero 2)

In questo groviglio di intrecci tra politica e interessi dei petrolieri fanno notizia in queste ore le dimissioni del/della Ministro/a dello Sviluppo Economico Guidi.

Il/la Ministro/a ha scritto una lettera a Renzi in cui dichiara, in buona sostanza (semplifico per ragioni di spazio):

Sono in buona fede” e “Sono entusiasta del Governo”

A ^ B

Non esprimo alcuna ipotesi circa il valore di verità della prima proposizione: ognuno di noi se ne farà un’idea leggendo il testo della intercettazioni in cui Guidi fa riferimento anche alla Maria Elena nazionale.

Mi permetto invece di affermare che non ho alcun dubbio sulla sincerità del contenuto della seconda proposizione: comprendo molto bene le #nobili (sic!) ragioni del suo entusiasmo circa l’esperienza di governo.

Secondo voi, se ‘A’ risulta falsa e ‘B’ risulta vera, quale sarà il valore di verità della proposizione composta?

Insomma: A ^ B = VERO oppure A ^ B = FALSO?

Da #logica provetta – i Ministri del Governo Renzi sono tutti necessariamente molto logici, dal momento che hanno come #paradigma il loro Capo – il/la Ministro/a avrà immaginato: nessuno può pensare che affermo il falso se dichiaro che sono entusiasta di essere stata al Governo con Renzi, perché nessuno oserà pensare che questo non sia vero.

La pensava così anche Gianni, quando un giorno al ritorno da scuola riferì: <<Ho preso sette in geografia e sei in aritmetica>>. Ma il giorno dopo la madre di Gianni andò a parlare con i professori e venne a sapere che in realtà il compito di aritmetica non era stato giudicato con sei, ma con cinque. <<Perché hai mentito?>> domandò.

<<Ma mamma, in geografia ho preso davvero sette!>> replicò Gianni.

Credo che siamo d’accordo sul fatto che Gianni abbia effettivamente mentito, pur avendo preso davvero sette in geografia.

Solo la verità integrale è verità: la mezza verità – come pure i nove decimi di verità – è una bugia. La verità è indivisibile.” (*)

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(*) VARGA, T., Fondamenti di logica per insegnanti, Torino, Boringhieri Ed., 1973, pag. 25.

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Il popolo di Erasmus

Ma le avete viste le foto? Sette meravigliose ragazze italiane, tredici vittime in totale; tanti i feriti nell’incidente in Spagna.

… … ….

… Si cominciò nel 1987. C’era ancora il muro di Berlino.

Da allora sono oltre tre milioni gli studenti che hanno utilizzato Erasmus: scambi di professori e di studenti, studio delle discipline di elezione nella lingua del Paese in cui si fa l’esperienza e, dunque, apprendimento sul campo di un’altra lingua.

E pare che spesso gli studenti che partecipano siano quelli che si laureano prima.

Ma Erasmus non è soltanto un’esperienza didattica, è un’esperienza di vita.

I giovani sentono che l’Europa è la casa comune, anche se il governo del capitale finanziario, e i governi che interpretano gli interessi del capitale finanziario ne hanno sfigurato l’immagine.

È vero che tali esperienze, i legami internazionali, i rapporti che i giovani instaurano con le imprese in tali circostanze costituiscono un trampolino di lancio per tanti Italiani che colgono l’occasione per trasferirsi all’estero.

Ma non è certamente Erasmus che determina e/o favorisce la fuga dei cervelli: chi si trasferisce all’estero lo fa perché non trova lavoro nel nostro Paese.

E, ovviamente, gli scambi tra i cervelli non sono equilibrati: l’Italia non riesce a fornire pari opportunità agli studenti stranieri che vengono da noi con Erasmus.

… … …

Tempi di guida e tempi di riposo non rispettati, falsificazioni dei documenti di viaggio.

Io non so se è possibile falsificare le registrazioni dei tempi di viaggio.

Ma ho letto recentemente di un autista di uno dei pullman che dovevano portare studenti in visita a Monaco di Baviera: al conducente è stata ritirata la patente perché non aveva attivato tempestivamente il meccanismo di sicurezza che registra i tempi di guida e di riposo.

E ci dicono che oramai esistono tecnologie che rilevano la pressione dei piedi sui pedali e delle mani sul volante, che impediscono i colpi di sonno.

… … …

Un dolore immenso!

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Visite guidate e viaggi di istruzione

Io non sostengo che alunni, genitori e docenti non debbano avere esperienze fuori dalle aule: anzi!

Sostengo con forza che dette esperienze si debbano svolgere senza addossare, sempre e comunque, le responsabilità al personale della scuola: è stata questa la mia convinzione da sempre.

Quanti dirigenti scolastici si alzano la mattina alle cinque per andare a controllare le gomme dei pullman, oppure intendono caricare di tale responsabilità i docenti?

Quanti vanno a controllare che i pullman utilizzati appartengano alla stessa unica ditta che si aggiudica la “gara”, come è previsto dalle norme?

E si potrebbe continuare a lungo. La verità è che il personale della scuola è da sempre malpagato e maltrattato.

Basti riflettere sulla ratio della recente circolare ministeriale, frettolosamente ritirata, con cui si pretendeva che i docenti si improvvisassero, tra l’altro, esperti di meccanica.

Io insisto in quello che è stata una mia antica convinzione: i genitori, se sono davvero interessati a che i loro figli vadano a visitare il Colosseo e/o incontrino il Presidente delle Repubblica, si assumano le responsabilità dell’organizzazione delle visite guidate e dei viaggi di istruzione che prevedono l’utilizzazione di mezzi di trasporto…

Con la piena collaborazione della scuola per gli aspetti tecnici, educativi e formativi.

I docenti partecipino in qualità di esperti, e ben retribuiti.

Facciamo infinite esperienze fuori dalle aule scolastiche, facciamo – per esempio – osservazioni scientifiche nell’ambiente prossimo: non è necessario andare per forza al Polo Sud o su Marte per realizzare i criteri di una comunità educante, anche fuori delle aule.

Dal vicino al lontano!

Si possono effettuare infinite visite guidate senza prendere l’aereo o l’astronave.

E se proprio si devono utilizzare l’aereo o l’astronave, ebbene sì: la responsabilità organizzative alle famiglie, a comitati di genitori.

È un criterio non politically correct: ma mi pare un criterio equo per cui battersi.

Oppure ci troveremo a prendere atto di improprie responsabilità attribuite al personale della scuola, come capitò a quel mio collega condannato dal giudice il quale ritenne che il capo d’istituto avrebbe dovuto controllare personalmente – in anticipo – che la porta di un campetto di calcio, abbattutasi su uno sfortunato alunno, fosse “in sicurezza”.

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Il presepe e la benedizione pasquale a scuola

Che bello, i social network!

Anche se non dobbiamo mai dimenticare che gli studiosi mettono giustamente in guardia dai rischi connessi all’uso che se ne fa, è però un fatto che – accanto a tanta zavorra – essi offrono comunque l’opportunità di dibattere “a distanza” con gli amici, anche virtuali, gli argomenti che più ci appassionano.

Ancora una volta, tutto dipende dall’impiego che si fa dei vari mezzi di comunicazione, compresi quelli disponibili sul web.

Ed ecco, dunque, che prima delle festività del Natale dell’anno scorso, discutendo con alcuni amici su Facebook, mi capita di sostenere che per affrontare la problematica del presepe a scuola, prima di imbarcarsi in dibattiti oziosi, sarebbe auspicabile preliminarmente – per questione di metodo – approfondire i temi “stato laico” e “stato confessionale”.

Il secondo passaggio sarebbe decidere se si è per lo stato laico o per lo stato confessionale.

Poi occorrerebbe compiere un esame della situazione in Italia (terzo passaggio).

Finalmente, dopo aver studiato per almeno un anno – sottolineavo – si potrebbe cominciare a discutere nel merito!

Oppure, rischiamo di proporre argomentazioni simili a quelle cervellotiche espresse dal Ministro Giannini sul Presepe, non capendo il Ministro stesso le incomprensibili parole che pronunciò in quella occasione.

Il caso del Dirigente Scolastico Reggente – e cosa e quanto ha dovuto “reggere”, il malcapitato – esposto al pubblico ludibrio soprattutto dai politici nei mesi scorsi per la questione dei canti di Natale fu a lungo dibattuto con argomentazioni strumentali che certamente non giovarono ad un esame sereno ed approfondito del tema. In tale circostanza assistemmo in televisione alla vergognosa sceneggiata di un ex-Ministro dell’Istruzione che, evidentemente a corto di cultura e di argomenti, provocatoriamente intonava – si fa per dire – “Tu scendi dalle stelle” davanti alla Scuola di Rozzano.

E dopo il Natale è arrivata la Pasqua.

Un recente interessantissimo articolo del Prof. Giovanni Cimbalo, Ordinario di Diritto Ecclesiastico alla Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, a proposito di un’articolata sentenza del TAR Emilia Romagna interviene a dare un significativo contributo alla discussione.

Ho deciso, allora, di dare spazio integrale a queste riflessioni. Scrive, dunque, il Prof. Cimbalo:

“La sentenza del Tar dell’Emilia Romagna che vieta l’effettuazione del rito della benedizione pasquale nei locali scolastici è estremamente equilibrata e distingue meglio di quanto abbiano saputo fare politici interessati, dirigenti scolastici, docenti e religiosi, tra conoscenza del fatto religioso e partecipazione al rito, ovvero a un atto devozionale che nelle intenzioni di chi lo compie intende porre un luogo sotto la protezione di un Dio, mediante atti conseguenti (la preghiera e gli atti rituali), finalizzati ad intercedere per ottenere la protezione della divinità.


Considerare la benedizione pasquale una mera tradizione ne sminuisce il significato e non concorre a coglierne la portata e l’importanza religiosa: chi lo fa banalizza e offende questo rito così importante per chi crede, in quanto marca il territorio, delimita uno spazio posto sotto la protezione del Dio dei cattolici.

A scuola si può parlare delle zeppole o delle uova dipinte, o della coltivazione e realizzazione dei sepolcri, ma non si possono porre queste attività ludico-gastronomiche o evocative di antiche festività e eventi dell’avvicinarsi della primavera – assorbite dalla tradizione religiosa cattolica e già frutto di religioni precedenti – assimilandole a un atto rituale come la benedizione che coinvolge i ministri di culto e i fedeli nella celebrazione di un atto devozionale.

I giudici hanno dimostrato di saper cogliere questa differenza che sfugge invece a dirigenti scolastici di evidente poca cultura religiosa, a politici a caccia di voti dell’elettorato più tradizionale e a prelati interessati a mantenere il controllo sul territorio e a tutti coloro che fanno della religione un “marcatore culturale” atto a affermare la propria appartenenza e identità.

Il confronto e il dialogo interreligioso, come quello con i non credenti, si svolge sul piano culturale e non sul terreno del rito e della pratica di culto, ridotta da chi vuole imporla e elemento folcloristico, depauperato di ogni significato religioso e devozionale, se non quello formale. Eppure la religiosità, la preghiera e la fede di tutto hanno bisogno fuorché di esibizioni forzate! La propaganda del culto si fa con la predicazione, con l’apostolato e con le azioni di carità e non con le esibizioni di malsane abitudini, come ad esempio la benedizione degli autoveicoli che notoriamente non hanno un’anima!

Consapevoli di ciò i giudici amministrativi hanno ricordato che il principio di laicità esige che la scuola sia luogo di cultura e di confronto tra le differenti appartenenze religiose, che anzi si faccia carico di affrontare queste tematiche con il metodo che gli è proprio e cioè il contraddittorio e il confronto tra le diverse opzioni. Il rito invece è esecuzione univoca, unilaterale, indiscutibile di un atto devozionale che o si condivide o non si condivide.

Certo l’efficacia di questa sentenza è limitata al caso specifico, ma è l’art. 19 della Costituzione che disciplina il diritto di celebrare il culto e di farne propaganda. E questa è norma generale che deve essere applicata e da tutti rispettata. Non solo: sono le stesse norme concordatarie che disciplinano la presenza della religione nella scuola che all’art. 9 del Concordato stabiliscono che l’insegnamento della religione deve avvenire come fatto culturale e non rituale. Altrettanto fanno le intese con le diverse confessioni le quali sanciscono che questo insegnamento non può avere carattere diffuso e quindi avvenire durante le altre attività della scuola.”

Ecco, dunque, ciò che occorre per affrontare seriamente il tema, secondo la sentenza:

– buon senso;

– conoscenza della Costituzione, delle leggi, dei Patti con la Chiesa cattolica e con le altre Confessioni;

– rispetto del principio di uguaglianza tra chi crede e non crede e quindi del principio di laicità.

Ancora una volta mi permetto di evidenziare, pertanto, quanto illuminate risultino ancora oggi le scelte compiute dagli estensori dei Programmi di Scuola Primaria del 1985, largamente ispirate alla proposizione del confronto interculturale e del dialogo interreligioso.

Non è chi non veda, dunque, come ancora tanta, ma tanta strada sia da percorrere, in Italia, per la realizzazione di una scuola davvero laica.

Antonio Conese, aprile 2016